Il vecchio edificio
In via Fratelli Cervi 66 era originariamente situato lo stabilimento della casa di moda Max Mara, che aveva iniziato la sua attività nel 1951. L’edificio, commissionato nel 1957, fu progettato dagli architetti Antonio Pastorini ed Eugenio Salvarani e venne poi due volte ampliato dalla Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia nei successivi dieci anni. Si trattava di un disegno radicalmente innovativo per la sua epoca, incentrato com’era sulla piena valorizzazione di una ventilazione e di un’illuminazione naturali, con la collocazione degli elementi di servizio all’esterno del corpo centrale, allo scopo di creare uno spazio totalmente versatile.
Nel 2003 l’azienda, che nel frattempo si era notevolmente ampliata, si trasferì in una nuova sede generale edificata alla periferia di Reggio Emilia e gli spazi dell’edificio originale vennero destinati a ospitare la collezione d’arte contemporanea del fondatore di Max Mara, Achille Maramotti.
Il nuovo edificio
Per la conversione della struttura in spazio espositivo, l’architetto inglese Andrew Hapgood ha scelto un approccio trasparente e rispettoso, conservando la cruda essenzialità della costruzione e conformandosi alla logica del progetto originale che la concepiva come struttura adattabile a molteplici scopi e capace di trasformarsi secondo diverse necessità.
Tre sono stati i nuovi e salienti interventi che hanno connotato tale conversione. Un primo intervento chiave modifica la percezione dell’edificio nel suo contesto, attraverso un nuovo orientamento del suo ingresso principale e un ripensamento del suo aspetto fondamentalmente industriale, evidenziato dall’architettura e dall’entrata principale: è stato realizzato un nuovo “taglio”, parallelo a via Fratelli Cervi, creando ampie entrate sulle facciate est e ovest che accompagnano il visitatore al centro della nuova galleria. Al pianterreno sono disposte la reception, le sale espositive per mostre temporanee, la biblioteca/archivio e gli uffici.
Sono stati poi creati due nuovi volumi all’interno del corpo di fabbrica, che lasciano filtrare la luce naturale nel cuore del pianterreno. Uno spazio alto tre piani è stato collocato sopra l’ingresso principale e al centro della collezione permanente e a esso si ritorna più volte nel corso della visita. Tale spazio, insieme a un altro ambiente alto due piani che ospita i dipinti di maggiori dimensioni, è illuminato da tre nuovi lucernari lineari, nascosti sopra la struttura primaria in calcestruzzo. La distribuzione della luce solare avviene qui attraverso riflettori interni ai lucernari verticali: viene mantenuto in tal modo un contatto con l’ambiente esterno e con la natura mutevole della luce.
I primi due piani dell’edificio sono dedicati alla collezione permanente. Le gallerie sono ampiamente illuminate a giorno dalla vetrata perimetrica originale, coi gradi di esposizione solare e i livelli luminosi controllati dalla tettoia solare esterna installata negli anni Settanta e in seguito ristrutturata.
Il contesto paesaggistico è stato progettato secondo gli stessi principi della conversione dell’edificio, utilizzando cioè specie vegetali e soluzioni ornamentali tipiche della zona, allo scopo di rafforzare l’idea di una ricolonizzazione del luogo come paesaggio post-industriale.