OUTSIDE IN. Ten years of Software Art

John F. Simon, Jr.

08 marzo – 03 maggio 2009

OUTSIDE IN, la prima mostra in Italia dell’artista americano John Simon, esplora un percorso decennale di ricerca intrapreso nella software art. Sono visibili cinque sue opere: da CPU (Unità di Pattern Cromatico) del 1999 sulle osservazioni delle infinite possibilità dello spazio visivo, alla geometria cromatica di Visions (2009) che pone in rapporto le variazioni geometriche della figura con le relazioni complementari tra i colori.

Nelle opere in mostra è possibile inoltre cogliere come, nel corso del tempo, l’artista abbia stabilito una relazione sempre più pregnante tra elementi analogici e digitali passando dalla visualizzazione diretta del codice su schermi a parete all’inscrizione dello schermo LCD in strutture materiche (cornici, rilievi a parete e contenitori in plastica e formica) che, seppure trattate e preparate con l’ausilio del computer, ci offrono la visione di vere e proprie pitture/sculture in costante permutazione.

Ciò a dimostrare che nella qualità digitale del progetto di Simon il computer diviene un mezzo di presentazione di una ricerca estetica relativa alla natura e alla struttura dei sistemi. Il disegno è elemento iniziale di tutti i progetti di John Simon che opera partendo da schizzi preparatori successivamente “trascritti” in un codice. Il focus è costituito dalla fusione dell’immagine col movimento (imaging dinamico) che costituisce una piattaforma creativa per l’esplorazione di sistemi.

Il percorso formativo di Simon (i suoi studi di geologia, le competenze cartografiche, la mappatura di Marte scattata per la NASA) hanno sicuramente inciso nel determinare il suo continuo interesse nei confronti della creazione di sistemi che, traslati nell’esperienza artistica, ci restituiscono la figura di un esploratore della complessità dell’esperienza umana. Simon transita infatti dall’interesse per il codice e la sua visualizzazione alla ricerca su come la visualizzazione faccia parte di un processo interattivo: le idee diventano software che diventa a sua volta immagine che diventa oggetto che stimola nuove idee. In tal modo il sistema diviene paradigma di fluidità e vitalità fino a fargli ipotizzare che il processo artistico sia come una nuova mappatura del mondo, e la visualizzazione del codice una nuova mappatura dei dati. Il suo lavoro è così un chiaro e interessante esempio di fusione tra tecnologia, estetica e rigore intellettuale.

Simon stesso dichiara “La software art non è come il video, il film in cui si registrano le sequenze di immagini. Le immagini che appaionio grazie al mio software sono create mentre vengono visualizzate. Invece di visualizzare la riproduzione di una scena il software è la scena che si sviluppa e non si ripete mai… Scrivere un software come opera d’arte segue le tradizioni del XX secolo. Trova una sua corrispondenza nell’arte analitica di Klee, Albers e altri artisti della Bauhaus oltre all’arte concettuale di Sol LeWitt, Weiner e Kosuth. La software art mira ad espandere ed attivare le pratiche iniziate dagli artisti che hanno codificato la loro esperienza artistica. Nello scrivere software ho imparato che una serie di regole ben definite può sortire effetti imprevisti. Di solito inizio un progetto di software con un modello mentale, disegno l'idea a matita su carta per aiutarmi a definire le regole e poi le codifico nel software. I numeri nel software che controllano forme e colori sono incrementati automaticamente mentre io aggiungo nuove regole ispirate da ciò che vedo. In questo modo esploro i limiti del modello; da questo processo emerge quindi un nuovo modello mentale e così inizia nuovamente il ciclo di feedback”.

Il software di Simon genera composizioni, colori in movimento, forme in pattern vibranti e continui, in uno spettro infinito di combinazioni che non si ripetono mai, producendo una pluralità di esperienze visive. Con queste opere Simon rielabora ciò che potrebbe divenire la pittura del XXI secolo trasformandola da mezzo temporalmente definito ad un altro che si sviluppa continuamente su infiniti piani temporali e spaziali.

La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Gli Ori, che accoglie un testo critico di Mario Diacono e la riproduzione delle opere presentate in mostra.

La Collezione Maramotti prosegue con questa esposizione l’attività dello spazio progettuale Pattern Room. Gli artisti invitati producono e presentano lavori che divengono poi parte della Collezione con l’obiettivo di fondere pratiche di acquisizione e di accrescimento del patrimonio iconografico con quelle della sua fruizione. Pattern room è il locale dove in passato - quando l’edificio era fabbrica di produzione - venivano realizzati modelli e prototipi. Dimensione progettuale e sperimentazione accomunano la vocazione di questo luogo, dal passato ad oggi.