Microclima
Eva Jospin
Flagship store di Max Mara Milano Ingresso di Corso Vittorio Emanuele, Milano.
L’opera è visibile anche all’esterno da Piazza del Liberty.
Orari negozio:
dal lunedì al sabato 10.30 – 20.00
domenica 11.00 – 20.00
Max Mara, in collaborazione con Collezione Maramotti, è lieta di presentare Microclima, opera site specific permanente creata dall’artista francese Eva Jospin per il flagship store di Corso Vittorio Emanuele, Milano.
Jospin ha realizzato questa installazione artistica avendo vinto un concorso di progetto indetto dal brand nel 2019, con l’obiettivo di valorizzare lo spazio interno dello store Max Mara e di metterlo in relazione con lo spazio aperto di Piazza del Liberty, punto nevralgico nel centro di Milano sul quale si affaccia la terrazza che ospita l’opera. Microclima offre pertanto alle clienti del negozio, così come alla città e a tutte le persone che vi transitano, un affascinante incontro con l’arte.La suggestione condivisa con gli artisti invitati a partecipare a questo ambizioso contest, organizzato in collaborazione con Collezione Maramotti, era quella di un’opera che, pur concepita per essere duratura, presentasse delle caratteristiche legate all’idea di impermanenza e che, inserita in un contesto metropolitano, stimolasse una riflessione su una diversa percezione – naturale, fisica, poetica – dello spazio.
La proposta vincente di Eva Jospin, dal titolo Microclima, consiste in una serra in vetro e metallo, un’architettura che racchiude un mondo intimo e allo stesso tempo in stretta relazione con l’esterno, la cui visione muta dal giorno alla notte e con il variare delle stagioni. Ispirato ai giardini d’inverno di fine Ottocento – periodo in cui si affermava lo stile Liberty che dà il nome alla piazza, emblematico esempio dell’architettura contemporanea milanese – questo padiglione ospita la messa in scena di un paesaggio in cartone, un rilievo raffigurante elementi vegetali su un sostrato minerale, un panorama di enigmatiche rocce verticali che evocano un ambiente fisico e immaginario di cactus esotici, maestosi alberi tropicali, stalagmiti di grotte e fossili di radici.
Queste forme organiche suggeriscono la natura anziché ospitarne un campione, come normalmente accade nelle serre: questo pavillon non racchiude né protegge una natura trapiantata dall’esterno, non è un rifugio per vere piante, ma diventa teatro di una scena di sculture in cellulosa, la materia che da esse deriva. Lo spettatore potrà immergersi completamente in questo elaborato paesaggio di cartone, materiale grezzo pressoché monocromo prediletto da Jospin, che lo plasma e lo ricama, incorporando anche piccoli inserti di carta colorata, corda, elementi metallici e minerali, a ritmare con delicatezza le forme della scultura. L’installazione è arricchita da una dimensione olfattiva grazie a un’essenza sviluppata specificamente dall’artista in collaborazione con il profumiere Julien Rasquinet, come traccia impalpabile di una natura ricostituita, per restituire la sensazione immersiva di una serra tropicale, sospesa tra l’evocazione di un ricordo e l’illusione di una presenza.
Lo sguardo di Eva Jospin sulla Natura genera stupore e suggestioni oniriche, invitando a intraprendere percorsi che conducono a un viaggio interiore in un universo simbolico e incantato fatto di foreste immaginarie, grotte abbandonate, giungle misteriose. Elementi primitivi, arcaici, quali grotte e foreste, diventano catalizzatori di impressioni e memorie profondamente radicate a livello personale e collettivo. Nell’opera di Jospin la foresta è elemento primigenio di ricerca e conoscenza, come anche di possibile fuga mentale, di spaesamento – luogo in cui perdersi e, forse, ritrovarsi.
Nelle parole dell’artista: Ad un certo punto, è come se queste architetture naturali, porte rocciose, entrate su mondi sconosciuti, fossero diventate un’ossessione. La natura in questo caso si fa mistero e avvolge l’uomo in una spazialità misteriosa. È l’idea del varcare la soglia di un’altra dimensione. (E. Jospin).
Plasticamente e concettualmente, il suo interesse primario è orientato a una natura (ri)costruita: con un paziente processo di taglio e assemblaggio, le opere-scenografie di Jospin sono dispositivi ludici e partecipati, in cui l’inganno è tanto riconoscibile quanto ineludibile da parte dell’osservatore. L’elegante fragilità dei materiali poveri utilizzati dall’artista – principalmente cartone grezzo, insieme a fili metallici, corde, gusci di ghiande, piccoli sassi – porta con sé anche una riflessione sulla condizione attuale dell’ambiente naturale, sulla sua instabilità, e sul rapporto di prevaricazione e controllo che l’uomo esercita sulla natura.